crisi dello sviluppo e strutture di peccato nel magistero di giovanni paolo ii
L'insegnamento sociale della Chiesa sul
lavoro, sulla solidarietà in esso insita, nella sua dimensione mondiale, ha
portato inevitabilmente nel
Il fallimento palese dei modelli di
sviluppo ideologici e riduttivi aveva evidenziato nella logica economicistica l'errore
fondamentale comune, sia nel capitalismo moderno che nel socialismo, e aveva
imposto un radicale ripensamento dell'idea e del modello di sviluppo.
Il dibattito sulla concezione di quest'ultimo,
sui modelli realizzati e sulle ipotesi per il futuro, in realtà era aperto
ormai da molti anni e si era ampliato in concomitanza con il fallimento di una
certa idea di progresso economico e l'emergere drammatico dei problemi
irrisolti del sottosviluppo.
I limiti dello sviluppo
Inizialmente, infatti, lo sviluppo fu
identificato nella rapida crescita economica alimentata da una vertigine
prometeica e dai successi della tecnica moderna che caratterizzò i paesi
industrializzati dopo la Seconda guerra mondiale. Questa concezione, che fece
sperare anche in una rapida soluzione nel colmare la povertà materiale di
quello che si definiva il "Terzo Mondo", manifestò ben presto i suoi limiti, le
sue incongruenze e le sue illusioni, sia nei paesi industrializzati che in
quelli in via di sviluppo[1].
In un primo momento si pensò che i paesi in
via di sviluppo fossero poveri perché non conoscevano ancora le moderne
tecniche di produzione industriale e che fosse, quindi, sufficiente sostenere
lo sviluppo economico attraverso un trasferimento adeguato di tecnologie e di
risorse finanziarie per ottenere, anche in quella parte del mondo, un decollo
economico e la formazione di moderni sistemi economici in
Tutta una serie di sintomi ed avvenimenti
sulla scena economica sociale internazionale mise fortemente in discussione l'illusione
di risolvere economicisticamente i problemi dell'umanità attraverso l'ideologia
di un progresso lineare e illimitato.
Durante gli anni '70, in particolare, si
verificarono diversi eventi che fecero aprire gli occhi sulla realtà che stava
prendendo forma, mettendo definitivamente in crisi il modello economicistico di
sviluppo. Si andava dalla crisi energetica e delle materie prime, alla
fragilità dell'ecosistema della biosfera e ai problemi ecologici provocati da
una forte industrializzazione; dalle persistenti sacche di miseria, ai non
risolti problemi del sottosviluppo e alle tensioni sociali e politiche. In
sintesi ci si trovava dinanzi ai segni di quella che l'economista e sociologo
francese Alfred Sauvy definì "entropia sociale"[3].
Se da una parte persisteva e anzi si andava
approfondendo il divario Nord-Sud e il problema di un "Terzo Mondo" oppresso
dalle malattie, dallo sfruttamento e dalla fame, che nessun intervento sembrava
scalfire, dall'altra, però, si scopriva sempre più che l'aumento quantitativo
del benessere nei paesi industrializzati non sempre era accompagnato da una
maggior qualità di vita sul piano umano, interpersonale, dei valori e del senso
della vita.
I tentativi fatti per individuare una via d'uscita
riformista al sottosviluppo[4],
così come quelli successivi di carattere rivoluzionario, partendo da un'analisi
delle strutture oggettive dell'economia, hanno trascurato la realtà delle altre
dimensioni dello sviluppo, in particolare quella culturale e il problema delle
nazioni. In effetti, trascurò quegli aspetti anche l'impostazione di quegli
economisti che contestarono fortemente la teoria della modernizzazione e
formularono quella della dipendenza, per la quale il
In America Latina il dibattito fu
particolarmente acceso in ambito cattolico ed evidenziò le contraddizioni e gli
effetti negativi e ingiusti del capitalismo economico sui paesi poveri,
sottolineando, sul piano teologico, l'aspetto della liberazione[6].
La Conferenza Episcopale Latinoamericana a Medellin avvertì e denunciò questa
situazione.
Emerse, quindi, sempre più la
consapevolezza dell'importanza dei fattori non economici dello sviluppo e,
perciò, la necessità di una sua concezione che ne comprendesse i diversi
aspetti, che fosse più aderente alla realtà e considerasse la globalità delle
dimensioni umane.
Le strutture di peccato
L'insegnamento sociale della Chiesa, dopo
il Concilio Vaticano II, aveva particolarmente messo in rilievo, soprattutto con la Populorum progressio, il problema di uno
sviluppo integrale dell'uomo, diretto cioè "alla promozione di ogni uomo e di
tutto l'uomo" (n. 14). Riprendendo questa concezione, Giovanni Paolo II, sulla
base dell'accresciuta interdipendenza mondiale, ha sottolineato la dimensione
etico-culturale dello sviluppo umano e dei popoli, come processo storico
dominante dell'epoca.
L'insegnamento sociale del Papa – nel proporre la ricerca della solidarietà come
nuova mentalità, principio
Esse costituiscono l'oggettivazione del
peccato personale nella strutturazione del convivere umano. Con le loro
persistenti conseguenze inserite nel processo dialettico della costruzione
sociale della realtà, le strutture di peccato hanno la capacità di oscurare le
coscienze, di trasformare l'azione e le relazioni tra i soggetti in veri e
propri mali morali, di alimentare ingiustizie macroscopiche nel mondo
contemporaneo.
Il magistero sociale individua
concretamente due atteggiamenti – "la brama esclusiva di profitto" e "la sete
di potere a qualsiasi prezzo" (Sollicitudo rei socialis, 37) – come radici delle enormi
ingiustizie esistenti nel mondo, identificabili facilmente nel fossato tra il
Nord ricco dei paesi industrializzati e il Sud povero del sottosviluppo (cfr. Sollicitudo rei socialis, 14). Questi
atteggiamenti non sono solo individuali, ma possono essere anche collettivi,
delle stesse nazioni, e nascondono "forme di idolatria del denaro,
dell'ideologia della classe, della tecnologia" (Sollicitudo rei socialis, 37), invischiando le scelte delle persone,
dei gruppi, i meccanismi della società globale.
Esse
materializzano sistemi facenti perno sull'egoismo e sull'individualismo,
operante anche a livello di
Cogliendo
la complessità delle "strutture di peccato", Giovanni Paolo II non le riduce
semplicemente all'uno o all'altro modello di sviluppo o sistema
politico-economico strutturato e neppure al concetto di logica deviante, che
ispirava i sistemi organizzati e in tal senso era identico nel liberismo
occidentale come nel socialismo dell'Est. Al contrario, le "strutture di
peccato", comprendendo l'una e l'altra concezione contemporaneamente,
rappresentano la realizzazione sistematica di una visione culturale ed etica
inadeguata. Perciò anche un cambiamento strutturale dell'organizzazione dello
Stato e della società a livello nazionale e internazionale deve essere
accompagnato da una logica nuova, culturalmente ed eticamente diversa da quella
economicistica, base sia del capitalismo che del socialismo.
[1] Cfr. J.K. Galbraith, The affluent society, Hamilton, London 1958; D. Riesman, Abundance for what? And other essay, Doubleday, Garden City 1964; A. Toffler, Le choc du futur, Denoël, Paris 1971; A. O. Hirschmann, La strategia dello sviluppo economico, La Nuova Italia, Firenze 1968; J. Austruy, Le scandale du développement, Rivière, Paris 1965; D.L. Meadows (e coll.), I limiti dello sviluppo, Mondadori, Milano 1972. [2] Cfr. W.W. Rostow, Gli stadi dello sviluppo economico, Einaudi, Torino 1962. [3] Cfr. A. Sauvy, Croissance zéro?, Calmann-Lévy, Paris 1973, 311. Con il concetto di entropia sociale, mutuato dalla termodinamica, ci si riferisce al grado di ordine o disordine di un sistema e alla misura dei suoi possibili stadi. Una bassa entropia sociale implica sistemi con elevato grado di ordine che, di fronte a vari eventi sociali, tendono allo squilibrio e all'instabilità; al contrario un alto valore di entropia implica un elevato grado di disordine, con tendenza all'equilibrio e alla stabilità. [4] Oltre al già citato testo di Rostow, cfr. B.F. Hoselitz, The progress of underdeveloped areas, University of Chicago Press, Chicago 1952; D. McClelland, The achieving society, D. Van Nostrand, Princeton 1961.[5] Cfr. A. Gunder Frank, Sul sottosviluppo capitalista, Jaka Book, Milano 1971; S. Amin, L'accumulazione su scala mondiale, Jaca Book, Milano 1971; S. Amin, Le développement inégal: Essai sur les formations sociales du capitalisme périphérique, Editions de Minuit, Paris 1973. [6] Cfr. G. Gutierrez, Teologia della liberazione. Prospettive, Queriniana, Brescia 1972.
03/06/2017
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