Articoli di Emilio Grasso
Volto di Dio, volto dell’uomo
La suprema testimonianza di amore di Mons. Óscar Arnulfo Romero
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Sul tema della nuova evangelizzazione, asse
portante del pontificato di Giovanni Paolo II, v’è ormai una immensa
letteratura. Il tema è di importanza così fondamentale per la Chiesa che tutti
gli approfondimenti e le analisi sono più che doverosi[1].
Non va però perso di vista il fatto che “non basta
rinnovare i metodi pastorali, né organizzare e coordinare meglio le forze
ecclesiali, né esplorare con maggior acutezza le basi bibliche e teologiche
della fede: occorre suscitare un nuovo ardore di santità fra i missionari e in
tutta la comunità cristiana”[2].
Saranno pertanto i nuovi Vescovi, i nuovi dottori,
i nuovi apostoli e missionari e i nuovi laici quelli che diranno cosa sarà la
nuova evangelizzazione.
Barsotti, scrittore spirituale italiano tra i più
genuini, metteva in guardia da chi attendeva il rinnovamento della Chiesa senza
che prima fossero nati gli uomini nuovi. Le strutture della Chiesa sono frutto
di questi e non viceversa. Il rinnovamento è opera dello Spirito, nasce
dall’intimo. La legge può riconoscerlo quando è avvenuto o eliminare gli
ostacoli, ma di per sé non lo produce[3].
Essere uomo nuovo nella Chiesa non è mai
questione generazionale, ma questione legata alla conversione del cuore,
conversione che rinnova, fa rinascere nello Spirito e conduce, se a questo
porta lo Spirito del Signore, finanche alla suprema testimonianza dello
spargimento di sangue nel martirio liberamente accettato.
Uno di questi testimoni che ci aprono le strade
della nuova evangelizzazione, dandoci non una formula da applicare ma un
modello di conversione, è senz’altro Mons. Óscar Arnulfo Romero, fedele a Dio
ed al popolo di Dio fino al sacrificio della sua vita[4].
Martirio
come suprema testimonianza di fede
Il termine di martire è risuonato immediatamente
nell’avvenimento della morte di Mons. Romero[5].
L’Episcopato austriaco dinanzi a questo evento
parlò di “martire per la giustizia e per la fede”[6],
definizione poi ripresa dal Cardinale Michele Pellegrino nel titolo d’un suo
articolo[7]. ![]()
Tredici Vescovi cattolici, “venuti da diversi
luoghi del mondo per rendere cristiano omaggio a Mons. Óscar A. Romero”[8],
parlano di lui come d’un “martire della liberazione come esige il Vangelo, un
esempio vivo del pastore voluto da Puebla”[9].
Non meno esplicito il commento del direttore
dell’autorevole “L’Osservatore Romano”: “Si rinnova nei credenti e in
coloro che li guidano il sacrificio e il martirio della Chiesa peregrinante sulla
terra, si rinnova così quella storia sublime segnata dal sangue dei martiri
e dalla sofferenza dei confessori”[10].
Giovanni Paolo II, nell’Udienza Generale del 2
aprile 1980, parla del “sacrificio della sua vita, che è stato unito, in modo
così singolare, al Sacrificio di Cristo”[11].
Nell’Udienza Generale del 25 marzo 1981 il Santo
Padre parlava della “suprema testimonianza” con la quale Mons. Romero “coronava
col sangue il suo ministero, particolarmente sollecito dei più poveri e dei più
emarginati”[12].
Sul concetto di “sacrificio del Pastore della
Chiesa, che si è prodigato per il suo gregge fino al dono della vita”[13],
ritornerà ancora il Santo Padre nell’Udienza Generale del 23 marzo 1983.
Il Padre Sorge spiega implicitamente perché si
possa applicare a Mons. Romero il termine di martire, quando scrive: “Se i
cristiani una volta affrontavano la morte per non servire i falsi dèi o il ‘divino
imperatore’, nei quali era impossibile riconoscere l’immagine di Dio, oggi, i
cristiani dei nuovi tempi si trovano ad affrontare la morte per servire i
poveri, gli oppressi, nei quali non possono non riconoscere il volto sofferente
di Gesù. È questa la lezione, il testamento dell’Arcivescovo di San Salvador”[14].
Al termine della sua biografia su Mons. Romero,
Morozzo della Rocca, dopo aver citato Rahner che parla d’una forma di martirio in odium
justitiae, s’interroga se è possibile applicare a Mons. Romero la
connessione della sua morte all’odium fidei del persecutore.
“Fu in odium fidei — s’interroga
Morozzo della Rocca — che Romero venne assassinato? Per coloro che gli furono
nemici in vita, Romero sarebbe stato ucciso in odio alle sue posizioni
politiche. Ma è difficile negare che Romero, Vescovo ucciso all’altare, durante
una liturgia eucaristica, sia stato colpito in odium fidei. Era per fede
che Romero parlava di riconciliazione, amava i poveri e chiedeva giustizia
sociale. Era per fede che invitava alla conversione e indicava il ‘peccato’ dei
suoi contemporanei: questo era il kerygma,
il cuore dell’annuncio evangelico, come disse più volte nella predicazione. Era
per fiducia nel Vangelo che Romero non si mise al riparo dalle minacce, non
abbandonò i suoi fedeli, non si ritirò, ma accettò la morte che sapeva ormai
sicura. Romero è un ‘martire del Vangelo’, ucciso in odium fidei”[15].
Il tempo che passa non affievolisce, anzi rafforza
la testimonianza di Mons. Romero. ![]()
Tra i tanti motivi che giustificano uno studio ed
una proposizione della figura dell’Arcivescovo di San Salvador, come anche una
sua giusta collocazione all’interno della “santità cristiana”, uno ce lo indica
Giovanni Paolo II in due differenti discorsi, laddove il Santo Padre invita a
rispettare e a non strumentalizzare per un interesse ideologico il sacrificio
di Mons. Romero[16].
Ora, se noi vogliamo rispettare questo sacrificio e
collocarlo nel suo giusto contesto, dobbiamo sottolinearne e riscoprirne i
motivi.
La morte di Mons. Romero non è un incidente di
percorso, ma l’atto verso cui egli si è incamminato. La morte violenta non
sopraggiunge improvvisa, ma è preparata, annunziata. Vi sono molte
testimonianze in proposito. Padre Sorge, nell’articolo già citato, riferisce
d’un suo colloquio con Mons. Romero, nel quale quest’ultimo parla della sua
prossima fine: “Lo so. Anch’io sono condannato a morte. Appena potranno, mi
uccideranno”[17].
Commenta ancora Padre Sorge: “Lo disse senza alcun
segno esterno di rammarico o di paura, quasi sorridendo, con una serenità che
non si può fingere, ma che solo nasce da una fede profonda e da un amore per
gli uomini come quello con cui ha amato Cristo”[18].
È Mons. Romero stesso che annunzia la sua morte in
cattedrale con umiltà, con coraggio, con abbandono alla volontà di Dio.
“Questa mattina mi è arrivato un avviso che io sono
nella lista di coloro che saranno eliminati nella prossima settimana”[19].
In questo annunzio v’è il distacco obbediente di
fronte alle potenze del male che stanno per abbattersi su di lui.
La
vita donata a un Volto
Al di là della morte, Romero vede la mano di Dio e
si abbandona alla preghiera. La sua vita non conta, il suo martirio è grazia
che non merita.
In proposito sono significative alcune parole di
Romero sul senso del martirio pronunciate nel maggio 1977, dopo l’assassinio
del Padre Alfonso Navarro: “Non tutti, dice il Concilio Vaticano II, avranno
l’onore di dare fisicamente il loro sangue, di essere uccisi per la fede; però
Dio chiede a tutti coloro che credono in lui uno spirito del martirio, cioè
tutti dobbiamo essere disposti a morire per la nostra fede, anche se il Signore
non ci concede questo onore. Noi, sì, siamo disponibili, affinché, quando giunge
la nostra ora di render conto, possiamo dire: ‘Signore, io ero disposto a dare
la mia vita per te. E l’ho data’. Perché dare la vita non significa solo essere
uccisi; dare la vita, avere spirito di martirio è dare nel dovere, nel
silenzio, nella preghiera, nel compimento onesto del dovere; è dare la vita a
poco a poco, nel silenzio della vita quotidiana, come la dà la madre che senza
timore, con la semplicità del martirio materno, dà alla luce, allatta, fa
crescere e accudisce con affetto suo figlio”[20]. ![]()
Due anni dopo, visitando la Basilica di San Pietro,
annota nel suo Diario: “Questa mattina sono andato nuovamente alla Basilica di
San Pietro e, presso gli altari, che amo molto, di San Pietro e dei suoi
successori attuali di questo secolo, ho chiesto insistentemente il dono della
fedeltà alla mia fede cristiana e il coraggio, se fosse necessario, di morire
come morirono tutti questi martiri o di vivere consacrando la mia vita come
l’hanno consacrata questi moderni successori di Pietro”[21].
Riascoltiamo le parole di Mons. Romero, durante la
sua ultima omelia, prima che il suo sangue fosse sparso sull’altare in unione
con l’Unica vittima sacrificale: “Questa Santa Messa, questa Eucaristia, è
precisamente un atto di fede. Dalla fede cristiana sappiamo che in questo
momento l’ostia di grano si converte nel corpo del Signore offerto per la
redenzione del mondo e il vino in questo calice si trasforma nel sangue prezzo
di salvezza. Che questo corpo immolato e questo sangue sacrificato per gli
uomini ci alimenti anche per dare il nostro corpo e il nostro sangue alla
sofferenza e al dolore, come Cristo, non per sé, ma per dare frutti di
giustizia e di pace al nostro popolo”[22].
Mi sembra ben chiaro che sia questa morte la chiave
interpretativa della vita e di tutto l’agire del Vescovo salvadoregno. A
prescindere da essa qualsiasi lettura risulterebbe falsata e riduttiva ed
allora Mons. Romero verrebbe strumentalizzato per interessi ideologici che non
fanno parte della motivazione profonda del suo sacrificio.
Una onesta lettura della vita di Mons. Romero non
permette alcuna strumentalizzazione ideologica, poiché Mons. Romero non muore
per nessuna ideologia. Egli muore per dei volti concreti.
Mi sembra che la chiave di lettura più appropriata
alla sua persona sia quella “mistica”. Romero è un mistico. Egli contempla il
volto del Padre. E sarà il dinamismo della contemplazione del volto del Padre
che lo condurrà alla morte.
Sarebbe interessante esaminare gli scritti ed i
discorsi di Romero, prima della sua nomina a Vescovo di San Salvador,
cominciando da quelli della sua giovinezza, dai suoi primi anni di studio,
dalla tesi di laurea scelta e mai finita. Perché fare una tesi su uno scrittore
ascetico-mistico del 1500 come il Padre Luis de La Puente?[23].
È indubbio che Romero arriva a San Salvador con la
fama di essere un Vescovo conservatore, dalla spiritualità forte, ma
disincarnata. Erano noti i suoi atteggiamenti rispetto ai vari fermenti che
maturavano in America Latina. Della sua nomina furono in molti nelle alte sfere
militari ed economiche a rallegrarsene[24].
Dove allora il punto di partenza d’una scelta così
forte e così incarnata che lo porterà coscientemente alla morte? ![]()
Jon Sobrino individua questo punto di partenza
nella fede in Dio.
“Se Mons. Romero operò in tal modo come leader
ecclesiale e sociale, ciò avvenne per la sua profonda fede nel Dio di
Gesù. Per questo un uomo tanto religioso, tanto spirituale, tanto seguace di
Gesù, senza lasciar d’esserlo anzi precisamente per esserlo, seppe rinnovare la
vita della Chiesa e seppe orientare il paese nel cammino della sua liberazione”[25].
Romero non è un teologo di professione né tanto
meno un ideologo. Egli è un uomo di fede. Egli trova nel contatto con Dio la
forza delle sue parole.
Nell’omelia della seconda domenica di Quaresima (2
marzo 1980) v’è questa significativa confessione: “Vi voglio anche comunicare
con gioia di Pastore che questa settimana ho fatto i miei esercizi
spirituali... Ieri, quando un giornalista mi domandava dove trovavo
l’ispirazione per il mio lavoro e la mia predicazione, gli dicevo: ‘È molto
opportuna la sua domanda perché proprio ora sto uscendo dai miei esercizi
spirituali. Se non fosse per la preghiera e la riflessione con la quale cerco
di mantenermi legato a Dio, non sarei altro che un bronzo squillante’”[26].
Ed una settimana dopo ritornerà sul tema: “Gli
uomini che conducono il popolo per le strade di Dio devono aver fatto
personalmente l’esperienza di Dio”[27].
È, dunque, questa esperienza di Dio il punto di
partenza dell’agire di Romero.
Si pone a questo punto la domanda sul come
quest’uomo arriva ad una scelta tanto precisa per il popolo oppresso.
Interviene qui un fatto che potremmo dire
costituisce la “conversione” di Romero.
L’esame di questo fatto ci sembra dar ragione a Rahner
quando parla della conversione come “impegno fondamentale e interessante la
vita nella sua totalità in direzione di Dio, nella misura in cui questo avviene
con un certo maggior grado (anche se relativo) di riflessione e che pertanto,
nella storia di una vita, ha un punto in certo qual modo fissabile nel tempo”[28].
Ora il “certo grado di riflessione fissabile nel
tempo” l’abbiamo in un avvenimento preciso: l’assassinio del Padre Rutilio
Grande avvenuto il 12 marzo 1977[29].
Una
conversione permanente a Dio e agli uomini
“Fu l’assassinio del gesuita Rutilio Grande,
iniziatore delle comunità di base contadine ad Aguilares, che gli aprì gli
occhi”[30].
La morte di Padre Rutilio Grande segna il momento
della “conversione” di Romero ai poveri. ![]()
In Rutilio Grande, Romero dice di aver visto “un
fratello che in momenti molto importanti della mia vita mi è stato molto vicino
e questi gesti non si dimenticano mai”[31]; vede l’esempio
che parla. In maniera plastica egli indica questo esempio in quel “volto rivolto
al cielo, accompagnato da due contadini”[32].
Quella notte passata in preghiera accanto all’amico
assassinato segna il momento di svolta pastorale di questo grande Vescovo. Egli
ora ha davanti a sé quel “volto rivolto al cielo, accompagnato da due contadini”:
volto di Cristo che Romero ha adorato e seguito fin dall’infanzia.
La “conversione” di Romero si caratterizza, quindi,
come una conversione al volto di Cristo riconosciuto nella storia degli uomini
in cui egli è immerso.
Parlando di conversione, va precisato che bisogna
riferirsi alla conversione permanente del cristiano e del Vescovo che vuole
assumere con piena coscienza i suoi doveri pastorali di modo che, in una
situazione di crisi drammatica e confusa, si fa defensor civitatis,
seguendo la tradizione degli antichi Padri della Chiesa: difende il clero
perseguitato, protegge i poveri, afferma i diritti umani prendendo alla lettera
il Magistero pontificio e conciliare[33]. La morte del
gesuita Rutilio Grande e la maniera equivoca con la quale gli fu comunicata dal
Presidente della Repubblica[34] rappresentarono per Mons.
Romero un segno che non poteva non leggere. I fatti gli mostravano una realtà
differente del passato e una sua differente collocazione nella responsabilità a
fronte di essi. Tutto ciò esigeva un altro tipo di risposta alla quale Mons.
Romero non si sottrasse[35]. Più che d’una conversione
sarebbe giusto parlare, secondo Mons. Rosa Chávez, predecessore di Romero in
San Salvador, d’una evoluzione naturale in colui che vive una conversione
permanente, in totale apertura a Dio e agli uomini[36].
Sulla stessa linea interpretativa si muove Mons.
Arturo Rivera Damas, già Ausiliare insieme a Mons. Romero di Mons. Chávez e poi
successore dello stesso Romero. Presentando la biografia scritta da Padre Jesús
Delgado così scrive: “Sono d’accordo con coloro che definiscono tale
cambiamento una conversione. Ma mi è di grande soddisfazione apprendere dalle
ricerche di Delgado che non si è trattato di un cambiamento repentino, come
quello avvenuto in san Paolo, bensì di una conversione lenta, quale solitamente
avviene nei comuni mortali, in ciascuno di noi: essa andò maturando a poco a
poco nel cuore di quell’uomo a volte tormentato, a volte intrepido, sempre
generoso. Credo che Delgado sia riuscito a definire in modo esatto il momento,
l’‘ora’ di quel cambiamento”[37].
Rileggiamo Romero nella sua omelia della quarta
domenica di Quaresima (16 marzo 1980): “Se vedessimo che è Cristo l’uomo
bisognoso, l’uomo torturato, l’uomo prigioniero, l’uomo assassinato; e in ogni
figura di uomo buttato tanto indegnamente lungo le nostre strade vedessimo quel
Cristo buttato via, lo raccoglieremmo come pietra preziosa e lo baceremmo senza
vergognarci di lui... L’uomo è Cristo e nell’uomo visto e trattato con fede
guardiamo Cristo, il Signore...”[38].
La “conversione” di Romero non è una conversione a
qualche ideologia.
“Romero es nuestro”, gridò Giovanni Paolo II
inginocchiato davanti alla tomba di Mons. Romero[39]. ![]()
La visita di Giovanni Paolo II alla tomba di Mons.
Romero fu voluta con “testardaggine” dallo stesso Santo Padre, in opposizione
alle condizioni poste dal Governo ed al consiglio degli stessi Vescovi.
Lo ricorda il Card. Roberto Tucci, in quel tempo
organizzatore dei viaggi papali all’estero, in una recente intervista a “L’Osservatore
Romano”, riportata da “La Civiltà Cattolica”.
Testimonia in proposito il Card. Tucci: “Mi piace
iniziare ricordando il coraggio che mostrava Papa Wojtyla nell’affrontare
situazioni difficili, a volte anche scabrose o pericolose. Era testardo. Come
dimenticare la sua determinazione nel voler pregare a tutti i costi sulla tomba
dell’Arcivescovo Oscar Arnulfo Romero a San Salvador. Ignorare quella tomba era
stata una delle condizioni poste dal Governo per acconsentire alla visita. I Vescovi
sconsigliarono il Papa di andare. Non ci fu nulla da fare: Giovanni Paolo II
voleva farlo perché si trattava di un Vescovo ucciso mentre celebrava l’Eucaristia.
Quando arrivammo sul posto, trovammo la cattedrale sprangata. Il Pontefice si
impuntò e disse che non si sarebbe mosso di lì fino a che non gli fosse stato
consentito di pregare su quella tomba. Restammo a lungo sulla piazza deserta.
La polizia aveva fatto allontanare tutti, non c’era nessuno. Ma poi la chiave
arrivò, e il Papa poté sostare a lungo su quella tomba”[40].
Non strumentalizzare Romero per interesse
ideologico, come chiedeva Giovanni Paolo II, è ricollegarlo ai volti
contemplati, nei quali scorgeva il volto di Cristo. Non il volto del Cristo
glorioso, ma quello del Cristo trasfigurato nel Getsèmani, sul Calvario, sul
Golgota.
Romero vede. Vede “volti di campesinos senza
terra, oltraggiati dalle forze armate e dal potere. Volti di operai licenziati
senza motivo, senza paga sufficiente per mantenere le proprie famiglie, volti
di anziani, volti di emarginati, di abitanti di tuguri, volti di bambini poveri
che già dall’infanzia cominciano a sentire il morso crudele dell’ingiustizia
sociale”[41].
Romero vede perché ha fatto “l’esperienza di Dio”,
vede perché non è l’uomo “curvato” su di sé e come tale capace solo di mirare
se stesso e i suoi problemi.
Peccato
personale come origine del peccato sociale
Romero ritorna insistentemente sul tema della
penitenza, della conversione del cuore, della liberazione dal peccato
personale.
“La prima liberazione da realizzare per lanciare un
gruppo politico che voglia veramente la liberazione del popolo, deve essere
quella di liberare se stessi dai propri peccati. Finché si è schiavi del
peccato, dell’egoismo, delle crudeltà, dell’odio, non si può essere persona
adatta a liberare il popolo”[42]. ![]()
E nella già citata omelia nella Messa esequiale
per il Padre Rutilio Grande, ritroviamo lo stesso tema: “Fintanto che non
si viva una conversione del cuore, una dottrina che si illumina con la fede per
organizzare la vita secondo il cuore di Dio, tutto sarà debole, rivoluzionario,
passeggero, violento”[43].
Romero, alla vigilia della sua morte, nella quinta
domenica di Quaresima, ci lascia il suo testamento[44].
Nel solco della più autentica visione cristiana,
egli insiste sulla conversione del cuore, sulla conversione personale. Egli
diffida di chi si nasconde dietro l’anonimato della “ingiustizia strutturale,
della violenza istituzionalizzata, del peccato sociale”. Egli cerca l’origine
di questo “peccato sociale” e lo trova “nel cuore di ogni uomo”. È lì che
innanzitutto va aggredito il peccato, è lì che si combatte la battaglia
decisiva, è da lì che bisogna iniziare.
Il peccato sociale è conseguenza del peccato
personale dell’uomo. “Per questo la salvezza comincia dall’uomo, dalla dignità
dell’uomo, dallo strappare dal peccato ogni uomo... Nella Quaresima questo è
l’invito di Dio: convertitevi individualmente”. Romero vede nel peccato, nel
peccato che, ancora prima di manifestarsi in atti esterni e cristallizzarsi in
strutture sociali, è nel profondo del cuore dell’uomo, l’origine del Male che
sta ormai per avere su di lui il sopravvento.
“Nel cuore dell’uomo vi sono gli egoismi, le
invidie, le idolatrie ed è lì che nascono le divisioni, gli accaparramenti...
Bisogna purificare, dunque, questa fonte di tutte le schiavitù. Perché ci sono
schiavitù? Perché ci sono emarginazioni? Perché c’è analfabetismo? Perché ci
sono malattie? Perché c’è un popolo che si lamenta e soffre? Tutto ciò è una
denunzia della esistenza del peccato”.
Romero vede i limiti di ogni liberazione che non
parta dalla conversione del cuore dell’uomo. Per lui “ogni soluzione per una
organizzazione politica che tenga conto del bene comune dei salvadoregni, dovrà
essere cercata sempre nel complesso della liberazione definitiva”. Se non si
vuol cadere nell’illusione di facili e tragici immediatismi, per Romero bisogna
andare al centro del problema, a ciò che “la Chiesa continuerà a predicare:
pentitevi dei vostri peccati personali”. ![]()
In questa visione non meravigliano le parole di
Romero: “Non c’è tempo migliore, credo, per aiutare la Patria che la Quaresima
vissuta come campagna di preghiera e di penitenza”[45].
Romero è morto perché ha visto. Ha visto il volto
di Dio ed ha visto il volto del suo popolo. Ha visto il volto degli oppressi,
ma ha visto anche il volto dei suoi oppressori.
Egli è morto perché ha chiamato tutti a
conversione. Egli ci ha ricordato che “Gesù non ha escluso nessuno né dal suo
messaggio né dal suo invito a entrare nel Regno. Ha amato tutti i suoi
contemporanei; e proprio perché li amò realmente tutti, ha chiesto loro la
conversione”[46], che Romero ha sperimentato bene nelle sue
carni ed “è difficile e dolorosa perché il cambiamento che si richiede non si
riferisce solo al modo di pensare, ma anche al modo di vivere”[47].
La via della conversione permanente, c’insegna
questo grande Vescovo, è la via dura ed aspra che conduce al Calvario. È la via
che parte dal cuore per raggiungere il mondo nell’amplesso della croce.
È la via difficile e dolorosa che ci porta
all’esodo ed alla diaspora, alla morte di sicurezze acquisite e di affetti
consolidati. Ma è l’unica via che ci rende fedeli a Dio ed agli uomini, che
permette che nel nostro corpo offerto avvenga la riconciliazione tra Dio e il mondo.
In un testo di Puebla, ripreso dalla Redemptoris
missio, è scritto che “i poveri meritano un’attenzione preferenziale,
qualunque sia la condizione morale o personale in cui si trovano. Fatti a
immagine e somiglianza di Dio per essere suoi figli, questa immagine è
offuscata e persino oltraggiata. Perciò, Dio prende le loro difese e li ama. Ne
consegue che i primi destinatari della missione sono i poveri, e la loro
evangelizzazione è per eccellenza segno e prova della missione di Gesù”[48].
Questi poveri Romero li amò fino all’atto supremo
del martirio, dando in questo “segno e prova della missione di Gesù”. ![]()
Egli ci apre la via alla comprensione del testo
della Redemptoris missio la quale ci ricorda che è “l’amore, che è e
resta il movente della missione, ed è anche l’unico criterio secondo cui tutto
deve essere fatto o non fatto, cambiato o non cambiato. È il principio che deve
dirigere ogni azione e il fine a cui essa deve tendere. Quando si agisce con
riguardo alla carità o ispirati dalla carità, nulla è disdicevole e tutto è
buono”[49].
Dimenticare questo o metterlo tra parentesi vuol
dire precluderci la comprensione del profondo significato dato da Giovanni
Paolo II al tema della nuova evangelizzazione.
* Emilio Grasso, Hanno creduto in un mondo nuovo. Volti di speranza nell'America Latina di
ieri e di oggi, Editrice Missionaria Italiana, Bologna 2005, 37-53.
________________________
[1] Per una analisi del significato e contenuto
dell’espressione “nuova evangelizzazione”, rimandiamo a: P. Giglioni, Perché una “nuova”
evangelizzazione, in “Euntes Docete” 43 (1990) 5-36; P. Giglioni, Il vocabolario missionario,
in “Euntes Docete” 44 (1991) 265-285. Per quanto riguarda le ultime questioni
che essa suscita, cfr. J. Rigal, La
Nouvelle Évangélisation. Comprendre cette
nouvelle approche. Les questions qu’elle suscite, in “Nouvelle Revue Théologique” 127 (2005) 436-454.
[2] Redemptoris missio, 90.
[3] Cfr. E. Grasso,
Fondamenti di una spiritualità missionaria. Secondo le opere di Don Divo
Barsotti, Università Gregoriana Editrice (Documenta Missionalia 20), Roma
1986, 46.
[4] La letteratura su Mons. Romero si fa sempre più
vasta. Ultimo della serie è il documentato e approfondito testo di R. Morozzo della Rocca, Primero Dios.
Vita di Oscar Romero, Mondadori, Milano 2005.
[5] Per una analisi e riflessione sullo statuto
epistemologico del martirio a partire da nuove realtà poste dalla storia, cfr.
A. Melloni, Martirio y santidad
en el siglo XX, in R. Morozzo della
Rocca (ed.), Óscar Romero. Un obispo entre guerra fría y revolución, San Pablo, Madrid 2003, 243-263; cfr. A. Riccardi, Ils sont morts pour leur foi. La persécution
des chrétiens au XXe siècle, Plon/Mame, Paris 2002.
[6] Domenica a San Salvador le esequie di mons. Romero, in “L’Osservatore Romano” (28 marzo 1980) 4.
[7] Cfr. M. Pellegrino,
Monsignor Oscar Romero: testimone della fede, martire per la giustizia,
in “Vita e Pensiero” 63/6 (1980) 2-7.
[8] Romero... y lo mataron. Scritti e discorsi di
una vittima della repressione in America Latina, A.V.E., Roma 1980, 271.
[9] Romero... y lo mataron..., 273.
[10] V. Volpini,
Morire per Cristo, in “L’Osservatore Romano” (26 marzo 1980) 1.
[11] Giovanni Paolo II, Supplica a Dio per la pace nel Salvador
(2 aprile 1980), in Insegnamenti, III/1, 797.
[12] Giovanni Paolo II, Ricordo dell’Arcivescovo di San Salvador
Oscar Romero (25 marzo 1981), in Insegnamenti, IV/1, 771.
[13] Giovanni Paolo II, Ricordo di mons. Romero nel terzo
anniversario della morte (23 marzo 1983), in Insegnamenti, VI/1,
801.
[14] B. Sorge,
L’assassinio di mons. Oscar A. Romero, Arcivescovo di San Salvador,
in “La Civiltà Cattolica” 131/II (1980) 64.
[15] R. Morozzo della Rocca, Primero Dios…, 368.
[16] Cfr. Giovanni
Paolo II, Omelia alla Messa celebrata al “Metro Centro” di San
Salvador (6 marzo 1983), in Insegnamenti, VI/1, 602; cfr. Giovanni Paolo II, Ricordo di mons.
Romero nel terzo anniversario..., 801.
[17] B. Sorge,
L’assassinio di mons. Oscar A. Romero..., 65.
[18] B. Sorge,
L’assassinio di mons. Oscar A. Romero..., 65.
[19] O.A. Romero,
Homilía 1° Domingo de Cuaresma (ciclo C, 24/02/80). I brani delle omelie di Mons. Romero, riportati
in questo testo, sono tratti dal sito: http://www.servicioskoinonia.org/romero.
D’ora in poi indicheremo il titolo, il ciclo e la data dell’omelia.
[20] Homilía 6° Domingo de Pascua (ciclo C, Planes de Renderos 15/05/77).
[21] Mons. Oscar Arnulfo Romero, Su Diario. Desde el
31 de marzo de 1978 hasta jueves 20 de marzo de 1980, Publicación del Arzobispado de San Salvador,
1970, 175.
[22] Homilía del 1° aniversario de la Sra. Sara De
Pinto (última Homilía de mons. Óscar A. Romero) (ciclo C, 24/03/80); corretta da R.
Morozzo della Rocca in base all’ascolto
del testo originale, cfr. R. Morozzo
della Rocca, Primero Dios…, 345-346.
[23] Cfr. Schedario tesi della Pontificia Università
Gregoriana; cfr. J. Delgado Acevedo, La cultura de monseñor
Romero, in R. Morozzo della Rocca
(ed.), Óscar Romero..., 47-64.
[24] Cfr. A. Levi,
Oscar A. Romero. Un Vescovo fatto popolo, Morcelliana, Brescia 1981,
23-25.
[25] J. Sobrino,
Monseñor Romero mártir de la liberación. Análisis teológico de la figura y
obra de mons. Romero, in “Misiones extranjeras” n. 57 (1980) 284.
[26] Homilía 2° Domingo de Cuaresma (ciclo C, 02/03/80).
[27] Homilía 3° Domingo de Cuaresma (ciclo C, 09/03/80).
[28] K. Rahner,
Conversione, in Sacramentum Mundi, II, Morcelliana, Brescia 1974,
623.
[29] Sulla figura e l’azione del Padre Rutilio
Grande, cfr. G. Arroyo, El
Salvador: les risques de l’Evangile, in “Etudes” 348 (1976) 293-311; cfr.
R. Cardenal, Historia de una
esperanza. Vida de Rutilio Grande, UCA Editores, San Salvador 1985.
[30] G. Arroyo,
La conversion et la mort d’Oscar A. Romero, in “Etudes” 352 (1980) 581;
cfr. J. Sobrino, Monseñor Óscar
A. Romero. Un obispo con su pueblo, Editorial Sal Terrae, Santander
1990, 13-21.
[31] Homilía en la misa exequial del Padre
Rutilio Grande (14/03/77).
[32] Homilía en la misa exequial del Padre
Rutilio Grande (14/03/77).
[33] Cfr. R. Morozzo
della Rocca, La controvertida identidad de un obispo, in R. Morozzo della Rocca (ed.), Óscar
Romero…, 16. Per Sobrino, Mons. Romero “passò non solo attraverso una
conversione – o cambiamento importante –, come è riconosciuto, ma anche
attraverso una evoluzione nella sua concezione della Chiesa e nel suo sentire
con essa”, cfr. J. Sobrino, Prólogo.
El sentir de Monseñor con
Dios, con el pueblo y con la Iglesia, in D. Marcouiller, El
sentir con la Iglesia de Monseñor Romero, Editorial Sal Terrae, Maliaño
(Cantabria) 2004, 20.
[34] Cfr. J. Delgado,
Monseñor. Vita di Oscar Arnulfo Romero, Paoline, Cinisello Balsamo (MI)
1986, 120.
[35] Cfr. H. Dada
Hirezi, Monseñor Romero y la política en El Salvador, in R. Morozzo della Rocca (ed.), Óscar
Romero..., 209-210.
[36] Cit. in R. Morozzo
Della Rocca, La controvertida identidad de un obispo, in R. Morozzo della Rocca (ed.), Óscar
Romero…, nota 3, 16.
[37] A. Rivera
Damas, Presentazione, in J. Delgado,
Monseñor..., 5.
[38] Homilía 4° Domingo de Cuaresma (ciclo C,
16/03/80). Ritroviamo in questa, come in
altre omelie di Mons. Romero, l’eco profonda della passione che animò Las
Casas: il suo amore per Gesù Cristo vivo, flagellato, schiaffeggiato,
crocifisso e morto nei poveri prigionieri delle Indie, non una ma migliaia di
volte. Da questo discende la sua convinzione che amare Cristo conduce a
liberare l’indio e ad impedire che gli tolgano la vita prima del tempo,
attraverso il regime della encomienda. Ancora una volta, e in questa
occasione identificandolo con Cristo, troviamo il senso profondo del povero e
della sua vita concreta, materiale, temporale. Spogliarlo, sfruttarlo, ucciderlo significano
bestemmiare il nome di Cristo, cfr. G. Gutiérrez,
En busca de los pobres de Jesucristo. El pensamiento de Bartolomé de Las
Casas, Ediciones Sígueme, Salamanca 1993, 103.
[39] Cfr. A. Riccardi, Ils sont morts…, 440.
[40] M. Ponzi,
Un testimone della Chiesa contemporanea. A colloquio con il cardinale
Roberto Tucci, in “La Civiltà Cattolica” 161/I (2010) 227.
[41] Homilía 2° Domingo de Cuaresma (ciclo C,
02/03/80).
[42] Homilía 2° Domingo de Cuaresma (ciclo C,
02/03/80).
[43] Homilía en la misa exequial del Padre
Rutilio Grande (14/03/77).
[44] Le seguenti citazioni tra virgolette sono
tratte da Homilía 5° Domingo de Cuaresma (ciclo C, 23/03/80).
[45] Homilía 6° Domingo de Tiempo Ordinario
(ciclo C, 17/02/80). In
Romero conversione del cuore e riconciliazione-giustizia-pace nel mondo, al
centro dei conflitti, camminano tenendosi per mano.
[46] La Chiesa Corpo di Cristo nella storia.
Lettera pastorale di mons. Oscar A. Romero 6 agosto 1977, in “Il
Regno-documenti” 23 (1978) 17.
[47] La Chiesa Corpo di Cristo nella storia...,
14.
[48] Documento di Puebla, 1142; Redemptoris
missio, 60.
[49] Redemptoris missio,
60.
23/05/2015
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